venerdì 28 maggio 2010

Auguri e figli maschi da Poggio Rusco (MN)
















“Ti taglio la testa e la sotterro in giardino”
, le diceva il padre Ahmet Kelet. E insieme all'altro figlio,Umit, la picchiava.
Perchè lei, una ragazza turca di diciotto anni, usciva con un ragazzo italiano: dunque non si comportava –secondo la regola paterna– da buona musulmana.
Le violenze vanno avanti per molto tempo, finchè il 25 aprile le botte fanno più danni del solito, e la ragazza deve ricorrere all’Ospedale.
Le Istituzioni reagiscono: arrestati padre e fratello, accusati di una serie di reati legati ai maltrattamenti ripetuti e aggravati, fisici e psicologici, con “l’aggravante dell’odio etnico, nazionale, razziale e religioso”.
Il 16 maggio, dopo aver incontrato segretamente la madre – lei stessa vittima di maltrattamenti - per un rapido addio, la ragazza viene trasferita in una struttura lontano da Poggio Rusco, da casa sua, dalla famiglia. Non potrà tornare più, per non subire probabili ritorsioni.

Cose turche? No.
Era marocchina Sanaa Dafani da Azzano Decimo, Pordenone, uccisa dal padre.
Pakistana Hina Saleem da Sarezzo nel bresciano, uccisa dal padre (con svariate complicità all’interno del nucleo familiare).
Marocchina anche Amina, che a Prato riesce a uscire dal tunnel dei maltrattamenti grazie ai professori della scuola.
E' di Catanzaro, invece, Felice Melchiorre: sorprende la figlia diciassettenne col fidanzato rumeno e la riempie di botte. L'altro figlio in questo caso non dà man forte a papà, però chiude la madre in una stanza per impedirle di soccorrere la ragazza. Oggi Felice Melchiorre è agli arresti domiciliari. Sua figlia vive col fidanzato.

In Italia (ISTAT 2006) 1.150.000 donne dichiarano di avere subito almeno una violenza negli ultimi dodici mesi.
Un omicidio su 4 avviene in famiglia. E 7 vittime su 10 sono donne. (Eures, 2004)
Ricorda l'Associazione Nondasola, che dal '95 si occupa di violenza domestica sulle donne, che questa “è un fenomeno trasversale: non è riconducibile a particolari fattori sociali, né economici, né razziali, né religiosi. La violenza domestica risponde alla volontà di esercitare potere e controllo sulle donne. ”
La violenza domestica come la percepiamo, in Italia è un fenomeno relativamente recente: nel senso che prima degli anni '70 “le percosse, i ricatti, gli insulti, le minacce e le privazioni economiche ai danni della moglie o dei figli venivano considerati normali conflitti familiari se non addirittura mezzi di giusta correzione, riprovevoli solo se in eccesso, ma pur sempre fatti privati”. (CADOM)
Tuttora (ISTAT 2006) solo il 18% delle donne considera la violenza subita in famiglia un reato. Tanto che persino le donne istruite ed emancipate hanno spesso notevoli resistenze a rivolgersi a istituzioni, associazioni, o persone a loro vicine per cercare aiuto e denunciare le violenze subite dai propri stessi familiari.
Allora come trovare questa forza se si è isolate, non integrate, e si percepiscono le istituzioni e la società come ostili o indifferenti?

A.B., F.V.
(immagine: lo stemma del Comune di Poggio Rusco; dalla rete)

giovedì 27 maggio 2010

Fashion Victims / 3: moda da paura a Udine

Di nuovo sulla passerella delle notizie nazionali, il burqa/niqab – insomma il velo islamico integrale. Invidioso dei successi di Novara, Capitale del Burqa, un walker furlan ranger della Lega ha intercettato e fatto identificare dalla Digos la moglie di un ingegnere in stage presso un’azienda locale, per altro a spasso con il marito e il bimbo nel passeggino. Motivo? Si dirigeva verso il Duomo, obiettivo sensibile, indossando un velo integrale.

Non vogliamo togliervi suspense, anticipandovi il racconto dell’eroico consigliere leghista Luca Dordolo (Amazing! Thrilling! Sensational!) intervenuto perché ha visto “Un bambino correre via spaventato”.

Però annotiamo per una volta due reazioni finalmente sensate. Una, quella del sindaco Furio Honsell, che i più ricorderanno nelle vesti di matematico appassionato di indovinelli a Che Tempo Che Fa, ospite di Fabio Fazio: “Chiamare la Digos non mi sembra un esempio da imitare. La polizia è impegnata a garantire la sicurezza su fronti ben più problematici”.

La seconda è del segretario Regionale del Prc che, con buon senso e pragmatismo friulano, dice: “In città ci sono diverse associazioni, tra cui le Donne in nero, che si occupano di questo”.

A.B.

Nell'immagine dalla Rete (svagoedintorni.net), l'obiettivo sensibile.

domenica 23 maggio 2010

Un calcio in faccia da Torino

C’è chi nell’aristocratica Torino sfugge all’odioso stereotipo del piemontese falso e cortese. Sono anzi piuttosto diretti, e in effetti un poco rudi, gli ultrà della curva della Juventus, a cui un nuovo e curioso rito tra tifo e vodoo impone di saltellare per porre fine alla (pur breve) esistenza di un calciatore avversario.

Razzismo? No, a sentire l’ex allenatore Ciro Ferrara. Infatti il problema non è che Mario Balotelli, l’impetuoso talento protagonista del recente scambio di insulti con Francesco Totti – episodio che ha spettinato persino la flemma del Presidente della Repubblica – è nero, ma che è interista.
Ora: gliela avremmo data anche per buona, considerando l’attenuante d’aver subito per anni cori razzisti antinapoletani. Il problema è che l’insulto a sfondo razzista non cessa di essere razzista perché è un insulto, e insulto detto nella curva di uno stadio.
E comunque pare difficile credere che non sia a sfondo razzista il coro, certo non un’invenzione né un’esclusiva bianconera, che modula più o meno: “Non esistono neri italiani”.

Come Balotelli, altri calciatori hanno subito lo stesso trattamento: dall’insulto ai versi di scimmia, fino alla fine del campionato. La società, carica di multe e (si spera) di vergogna, ha tentato da un lato di minimizzare e dall’altro ha puntato sulle proprie iniziative di social marketing, come quella, comunque encomiabile, condotta per l’Unesco.

Sarà l’anno particolare della Juventus, sarà che gli ultrà non usano sottilizzare sull’aspetto socioculturale dell’insulto o dello striscione (in trasferta a Bari è comparso anche il poco originale: “25 aprile festa degli infami”), sta di fatto che persino gli juventini Momo Sissoko e Jonathan Zebina sono incorsi nell’invettiva anti-coloured.

Detto e premesso che non è certo richiesto alle curve di somigliare alla Camera dei Lord, in un mondo sportivo in cui i tifosi considerano l’avversario un nemico da abbattere o tifano addirittura platealmente per gli avversari (fino a minacciarti se non perdi, pare), c’è qualcosa che non può essere considerato tollerabile. Come se lo stadio fosse una realtà extra territoriale.

Magari avrà anche ragione chi dice che la razza o il colore sono solo pretesti. Ma allora, la razza da annientare qual è, quella del perdente?

A.B.

Immagine dalla Rete.

venerdì 21 maggio 2010

Milano-Rom(a)


Ho visto anche degli zingari felici, cantava Claudio Lolli un milione di anni fa. Ne ho visti anch'io: nei film di Kusturica. A Milano raramente. Per non dire mai. Ieri, poi, più che felici erano incazzati. Incazzati neri. Almeno quelli del campo -parola che quando indica uno spazio abitato da essere umani evoca quasi sempre orrori- di via Triboniano.
Avevano previsto di recarsi in delegazione a Palazzo Marino per protestare contro lo sgombero del campo rom, il loro campo. Peccato che non siano riusciti ad allontanarsi granché da casa: gli agenti di polizia, in assetto antisommossa, hanno bloccato loro la strada e gli scontri sono divampati in via Barzaghi.

I racconti sulla vicenda divergono: Il Giorno per esempio sembra suggerire che il torto stia tutto da una parte sola. Quella dei rom, naturalmente. Sul sito Milano Today, quotidiano on-line di informazione, si legge una dichiarazione decisamente più conciliante: “Lo scontro non serve a nulla così come certe dichiarazioni che addebitano responsabilità ai rom e che inaspriscono solo gli animi”. Peccato che a dirlo non sia il vicesindaco De Corato, responsabile degli sgomberi, ma gli operatori della Casa della Carità, che svolgono servizio di assistenza ai rom di via Triboniano. Mentre su Youtube circola questo video, piuttosto confuso, al termine del quale si vede un uomo leggermente colpito alla testa.

In ogni caso maggio sembra essere un mese poco propizio ai Rom. Una ventina di giorni fa, in un’altra regione d’Italia, ai controllori della linea Roma Tiburtina-Avezzano viene chiesto, fortunatamente invano, di “Segnalare eventuali passeggeri di etnia rom che salgano sui treni delle Ferrovie dello Stato; riportare i dati anagrafici dei suddetti rom nell’apposito formulario; trasmettere alle autorità competenti la segnalazione per i provvedimenti del caso”, praticamente un proclama razziale.

Domani potrebbero chiedere loro di cucire sul bavero un bel triangolo nero, caso mai qualcuno dovesse sfuggire alla cernita. Si tranquillizzino comunque i tifosi milanisti, nessun timore per Andrea Pirlo: pare sia di origine sinti e non rom.

P.V.

Immagine dalla Rete

venerdì 14 maggio 2010

FASHION VICTIMS/2 : USI E COSTUMI DI VERONA
















Con la bella stagione alle porte, ci pare giusto dare anche noi, come il sindaco di Verona, qualche consiglio in materia di swimwear.
A giugno 2009, alle piscine “Santini” di Verona, una donna musulmana è entrata in vasca con indosso un burquini® (il costume da bagno che copre interamente il corpo, comprese gambe, braccia e capo, lasciando scoperto il viso: permette alle donne musulmane di frequentare spiagge e piscine pubbliche e di nuotare comodamente, senza contravvenire ai loro precetti religiosi). Alcune mamme hanno lamentato col direttore dell'impianto che i loro bambini ne erano spaventati, e lui ha avvicinato la donna per verificare che il costume fosse a norma. La bagnante non è stata allontanata, poichè, anche secondo la responsabile delle piscine comunali veronesi Silva Polo, non ne sussiteva motivo. D'altro avviso il sindaco Flavio Tosi (Lega): «Quando si va in un Paese diverso dal proprio è giusto adeguarsi agli usi e costumi di chi ospita (...) chi viene in piscina, sia cristiano o musulmano, induista o animista o ateo, deve accettare le norme di comportamento e del comune sentire, altrimenti il bagno va a farselo a casa sua». Infatti quella donna, in piscina, non si è più vista.
Anche per il portavoce del Consiglio islamico di Verona, Mohamed Guerfi, è la donna in burquini che «ha sbagliato (...). Se c’è una regola che vieta di fare il bagno con i vestiti va rispettata».
Togliendosi i vestiti o rinunciando a fare il bagno?

In tema di moda non si può non citare Gianluca Buonanno, il sindaco di Varallo Sesia che abbiamo già conosciuto nella cartolina FASHION VICTIMS/1: nell'agosto 2009 aveva posto per chi indossi il burquini la stessa sanzione adottata poi per il niqab, i soliti 500 euro. Anche in questo caso è evidente la sua preoccupazione per la sicurezza: «La vista di una "donna mascherata" potrebbe creare turbamento, soprattutto tra i più piccoli», ha spiegato. Le suore di Varallo sono avvertite.


Comunque, care mamme, per l'estate che viene noi Intolleranti abbiamo stilato un ventaglio di possibili risposte per soddisfare la curiosità dei vostri figli e aiutarvi a prevenire i gravi traumi provocati dalla vista di una donna in burquini.


D:
Mamma perché quella signora è vestita così?

R:
(sportiva) E' un'istruttrice di sub.
(plastica) Forse si copre perché le è venuta male la liposuzione.

(supereroica) Non è una signora, è Cat Woman.

(computometrica) Non lo so, ma se al centimetro quadrato il suo costume costa come il mio, dev'essere molto ricca.

(banale) Perché nel Paese da dove viene ci si veste così.


F.V.

(la cartolina nell'illustrazione è in vendita su
http://www.zazzle.co.uk/verona_where_love_flows_postcard 239084130278753290)

martedì 11 maggio 2010

BACI DA BOLZANO














In sette ci si sono messi a pestarlo, per fargli capire bene cosa vuol dire essere uomini veri: così imparava a baciare il suo fidanzato in pubblico.
E' successo a Simone Giovannini, 23 anni.
La notte dell'11 maggio, dopo una festa in discoteca, lui e il suo compagno Simone Rossi si sono fermati a un chiosco davanti al “Soul Kitchen”, e, scesi dall'auto, si sono scambiati un bacio sulle labbra. Si è avvicinato un giovane che li ha insultati per la loro omosessualità: Simone gli ha chiesto di lasciarli in pace, ma lui è passato alle spinte e quindi ha chiamato gli amici: sei o sette amici. Insieme hanno buttato a terra Simone e l'hanno preso a calci e botte; per unire l'utile al dilettevole gli hanno anche strappato via una decina di orecchini e rubato occhiali da sole, portafogli e cellulare. Il titolare del chiosco ha chiamato il 113, e prima dell'arrivo della polizia i picchiatori sono scappati in auto. Rossi ha fatto in tempo a prendere le targhe.
I poliziotti hanno consigliato al ragazzo di andare a farsi medicare in ospedale e là sporgere querela, visto che, pur coperto di sangue, si reggeva in piedi da solo.
Le botte hanno procurato a Simone un serio trauma cranico; frattura multipla del braccio sinistro; contusioni e ferite assortite.

F.V. (e grazie a Rita)

venerdì 7 maggio 2010

FASHION VICTIMS / 1 : CARTOLINA DA NOVARA











Da qualche giorno Novara, città già rinomata per il riso, il gorgonzola, il biscotto pavesino e il Bar dell’Amicizia in cui nacque il Campari, è Capitale del Burqa. Lo apprendiamo per merito di Massimo Giordano, primo cittadino e neoassessore allo Sviluppo nella neonata Giunta regionale Cota.

Lo scorso autunno Giordano, durante il suo turno di ronda per andare a comprare il pane, aveva individuato una donna coperta da un velo lungo fino ai piedi: burqa, niqab, che importa? Quella roba lì. Immantinente, chiamava le Forze dell’Ordine per rimuoverlo dal selciato suo e dei suoi concittadini. Scoprendo delle imperdonabili falle nella legge italiana in materia di sicurezza: per esempio, non puoi rimuovere quello che c’è sotto. Fedele al suo spirito di servizio, ha emanato immediatamente l’ordinanza d’ordinanza, con cui si vieta di entrare in luoghi e uffici pubblici a volto coperto.

Così, una donna tunisina che il 3 maggio scorso, in compagnia del marito, ha avuto la (s)ventura di entrare e uscire da un ufficio postale di Novara si è vista comminare la giusta sanzione di 500 euro per aver indossato il velo integrale.

Meno male che adesso in Piemonte ci sono i sindaci della Lega, viene da dire: almeno qualcuno fa le leggi e poi le fa applicare. E poi c’è sempre il fatto che, insomma, non è esattamente come vedere un cappotto maròn o un giacchino di gabardin: "Ho firmato il provvedimento per ragioni di sicurezza ma anche per far sì che chi viene a vivere nelle nostre città rispetti le nostre tradizioni", ha chiarito il sindaco. Dopo Novara, anche altri comuni si sono accodati al trend. Hanno battuto sul tempo anche belgi e francesi – anche se là, va detto, la questione è un tantino più complessa.

Del resto, quando c’è un’emergenza sicurezza, mica si può star lì a parlare di mediatori culturali e condizione femminile. In Francia, su 5 milioni di musulmani, si stima che siano circa 2 mila le donne che usano il niqab. Chissà a che punto è arrivata l’invasione dei Mori, se si è resa necessaria un’ordinanza comunale per arginare il fenomeno in centri come Cossato, o Varallo Sesia. Neanche nei Poemi Carolingi s’era alle prese con simili eserciti. Mica poteva bastare la legge italiana del 22 maggio del 1975, che vieta di presentarsi a volto coperto, per esempio da un casco integrale, nei luoghi pubblici. La legge padana è certo più utile: specie se viene applicata, come dimostra l'esperimento della consigliera del PD Sara Paladini e in ogni caso la nostra comune esperienza, alle sole donne con velo non omologato. E dato che, come dice il sindaco al Corriere, lo spirito non può essere altro che quello di aiutare l’integrazione, dobbiamo proprio rassegnarci all’immagine del califfato di Novara ormai popolata di fantasmini azzurro cielo, come nei tristi e polverosi scenari di Kabul.

A.B.

(immagine dalla Rete)

mercoledì 5 maggio 2010

A MILANO SIAMO TROPPO AVANTI
















Niente da fare: Milano, la grande Milano, capitale del fare e dello sfilare,
è sempre un passo avanti. Anzi, per esser precisi, un passo dell’oca avanti a tutti. È che essere nazichic ormai è di tendenza: sarà il nero, sarà il look rasato e palestrato, sarà che, nel dubbio, meglio così che finire fighetti del Pdl o del Pd.

Mille tra ragazzotti e trentenni fascio nazi si presentano a porta Susa per ricordare le morti di Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, militanti di destra uccisi negli Anni di Piombo, e di Carlo Borsani, repubblichino ucciso dai partigiani. E sfilano per Milano. A passo militare. Coi tamburi, per dire. Con le bandiere nere rosse e bianche con la croce uncinata. Cantando cori fascisti. Inneggiando al Ventennio. Autorizzati. Indisturbati.

Mille camerati: proprio così li chiama La Repubblica, e senza traccia di ironia. Duecento o poco più secondo la gente del quartiere, che incurante della solennità del momento cantava Bella Ciao. Ottocento secondo la Questura, che per una volta, stranamente, si avvicina alle cifre degli organizzatori. E uno si chiede: ma allora c’era, la Questura? No, perché ci sarebbe in sospeso quella faccenda dei reati di apologia del fascismo e tentata ricostruzione di partito fascista. Forse, data la presenza del consigliere provinciale del Pdl, Roberta Capotosti, i poliziotti hanno pensato che non facessero niente di male. Chissà che ne pensa la Milano Medaglia d’Oro della Resistenza. Ma via, avrà pensato la città del fare, basta conflitti. Ri-con-ci-lia-zione. Questa la parola d’ordine. Destra, sinistra. Partigiani, repubblichini: cosa cambia? Siamo tutti milanesi, via!

La Repubblica Sociale Italiana sceglieva i nazisti e la dominazione al posto della Liberazione? Inneggiava alle leggi fasciste, tra cui quelle sulla Difesa della Razza? Quelle che nel 1938 esclusero gli italiani “di razza ebraica” dall’esercizio delle professioni, dalla scuola, dalle università, dalle pubbliche amministrazioni; che ne limitarono il diritto di proprietà e ne confiscarono i beni; che poi portarono alla morte, nei campi di concentramento, oltre 7.000 uomini, donne e bambini italiani (ma ebrei)?

Ma via, era tanto tempo fa! Anzi, che diamine: è Storia. E la Storia sa di muffa. Mica abbiamo tempo di impararla, a Milano. A Milano si lavora, si pensa al futuro. Dev’essere per questo che, a furia di essere avanti, hanno fatto il giro. E ripetono le stesse cose.

A.B.

(immagine dal web)