martedì 8 giugno 2010

MAMMA ROMA
















Le brillano gli occhi. E sorride. Anzi, ride. Proprio come un'italiana quand'è felice. Eppure racconta cose terribili. Cose che avrebbero steso Maciste. Un po' hanno steso anche lei, a dire il vero. Un tempo. Ora è passato. Ora si può raccontare. Soprattutto perché ora Emanuela Valente, la protagonista di un episodio di mobbing clamoroso e poi di un calcio nel sedere in un certo senso pure più clamoroso, ha trovato un orecchio che l'ha ascoltata: quello di Concita De Gregorio. Concita, direttore dell'Unità, ha acconsentito a pubblicare
la storia di Emanuela. Da allora molti sembrano interessarsi a lei e al suo "caso". Emanuela, in effetti, si è macchiata di una colpa gravissima: ha avuto un figlio, cosa che le è costata la carriera, poi, addirittura, un secondo, e con questa seconda ignominia si è giocata il posto. A cacciarla, prima un onorevole, si fa per dire ma così si chiamano: la Valente aveva lavorato sette anni come assistente parlamentare, districandosi tra interrogazioni, dispacci della Camera e del Senato. Altro giro, altro regalo: Emanuela è brava e, a Roma, c'è chi l'ha notata. La reclutano per organizzare un convegno: donne e lavoro, tema che le calza come un guanto. L'iniziativa è un successo, partecipano donne di ogni schieramento politico, tutti sembrano felici e contenti. Macché, Emanuela si adopera, molto, ma non abbastanza, secondo i leader, soprattutto donne va sottolineato: deve essere più disponibile e una donna con famiglia non lo è abbastanza. Ergo Emanuela viene messa nuovamente alla porta. In barba ai discorsi appena tenuti al convegno.
Normale, in un paese dove ministre mamme senza arte né parte ritengono il congedo di maternità un privilegio. Sono le reazioni della Casta, si potrebbe commentare: tutte uguali. O quasi. Fa eccezione, per esempio, Manuela Ghizzoni, deputata Pd, che in questo post sintetizza e commenta quel che della Valente pensano donne che non siedono in Parlamento né, tantomeno, in Consiglio dei Ministri:
"Non capisco perché una donna che ha deciso di diventare madre pretenda poi di continuare a lavorare".
"Non capisco perché una donna che vuole lavorare decida di avere dei figli".
"Non capisco perché una donna che ha dei figli li lasci a casa con una babysitter".

"Non capisco perché andare a lavorare quando poi tutto lo stipendio viene preso dalle tate e i figli crescono senza una madre".
Anch'io non capisco. Un mucchio di cose. Per esempio: non capisco dove sia finita la solidarietà femminile. Anzi, no, non capisco dove sia finita la solidarietà tout court.
A furia di pedate Emanuela se ne è andata. Dal primo, dal secondo lavoro, infine dall'Italia. Ora di figli ne ha tre, ma la famiglia ha lasciato Roma: i cinque vivono a Parigi. E il sorriso, guarda caso, è tornato.

P.V.

(nell'immagine, dalla rete, Lupa Capitolina, scultura in bronzo prob. III sec. A.C.; gemelli aggiunti dal Pollaiolo nel XV sec.; Musei Capitolini, Roma)

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